tutti tranquilli qui. sembra che poche volte si riscontreranno problemi..scivola tutto sull’immensa superficie di appunto tranquillità. vaga ora per altre strade quell’informe voglia di non aver più fiducia di nulla, di niente, di nessuno, di voler scappare, neanche evadere..ma proprio fuggire. facciamo che stiamo qui, perciò..lo siglo in questa veste di ufficialità da me stesso proclamata, in modo poco formale. usualmente atterro sulla virtualità della vita, della socialità..lì re-incontro la nausea, il prodotto di quei troppi sorrisi e di quel troppo entusiasmo che più non trovo negli abbracci, negli sguardi, nelle carezze..talvolta nei baci. il dimenticar di costoro produce nelle mie idee delle presuppuzioni ben poco irreali, sfocianti nell’ammissione della realtà dell’attenzione dell’umano nei confronti della propria storicità, ovvero l’abbandono del se stesso in quell’arco di finte speranze, nel “ritrovare” un amicizia di comun accordo seppellita sotto il velo di contrasto che s’era creato, riconosciuto, e quasi quantificato, da entrambi le parti, si, in modo pressocché differente. non v’é più il bisogno di intercorrere nel tentativo di ben auspicare nonnulla che non sia futuro prossimo non-esistibile..rapporto della prevedibilità di alcune esistenze, banali, auto offuscate da se stesse, tiepidi, auto-eluse..in confronto le società rudi di esseri “non-parlanti” risultano obbiettivamente più sensate, costruite, durature, vere. l’animale è si esempio di vita, di realtà, di ciò a cui veramente bisogna pensare..e noi li vestiamo gli animali, li mangiamo, poi andiamo sui social network a mettere le foto autoscattate allo specchio, mentre bevi il latte di un’essere che vive in prigione, schiavo della legalità, padroni del proprio nulla altresì autentificato come proprietà dell’umano, il coraggio che trovate nel denigrare queste realtà..non esiste..fate schifo..e mangiate i morti..che sono ahinoi vostri simili.
tossisco cautamente, senza troppe finzioni, nel sollazzo delle pulsazioni che sento nello sterno, del che vuole liberarsi da quella che credo sia la mia purezza, anch’essa malata, ma non di una malattia malata, malata e basta, quindi migliore. io, così minuto, di fronte queste due grandissime finestre in queste stanze che ricordano giorni infantili, quel coraggio che non avevo di raccontare di me stesso. il caldo di quella terra strana; il mare la mattina quando mi svegliavo..i giochi mentre fuori c’erano le nuvole, a progettare universi che credevo possibili, visti affondare qualche anno dopo, nella crudeltà della scarsezza di molte persone nell’immaginare, nel creare queste immagini, e saperle condividere. il telefono squilla e lei non risponde. io continuo a ricordare quelli che furono i miei sogni, quando il terrazzo del quinto piano era la mia possibilità di fuga dalla realtà, dove i giochi erano sinceri, negl’unici momenti in cui ero solo, con la mia voglia di diventare bello, a modo mio, con la dolcezza di un bambino intelligente, innocente, timorato di dio. già sapevo che dio era come babbo natale..lo intuii che era una fuffa..me ne accertai dopo anni, quando già puzzavo, avevo la barba ed il cuore spezzato. quando gli stimoli calavano come la mia capacità di autocontrollo, nuotando nella cacca e senza sapersene rendere conto. nostalgico non ancora di quello che ho forse/sicuramente lasciato. nostalgico dei sogni che facevo quei giorni, quando di fronte la mia finestra..lontano..c’era il mare.
i sogni che faccio mi piacciono ancora, ma sono nella stanza di un altro, mentre fuori c’è qualcosa che dovrei vivere..ma lei non risponde al telefono.