maniacalmente palpo la delusione che provo dall’approssimativa lettura del contenuto della troppo consolidata maschera che veste questo popolo di lodi troppo sparse per i discorsi di chiunque. perciò il clima è a dettare i miei buoni umori, con il suo bianco cantare la sera. il ghiaccio affligge le nudità, e scopre quei punti di calore da me tanto cercati ovunque. ma sono un maniaco, e rovino sempre alla prima impressione; io, incapace di contenere il mio buon umore. troppa fiducia troppe volte lascio all’insoddisfazione certa sempre costante presenza degli altrui sguardi, così occupati a cercare se stessi altrove che non capiscono le mie comunicazioni. mi immagino piangere allora mentre cammino su dei cristalli già pianti, pronti ad essere dipinti di colori impropi, maschere anch’essi di una cattiva proiezione dell’immagine, di un carattere corrotto dalla sua stessa conoscienza, acquisita con lo stupro del pensiero. non basta la schiuma ad ammorbidire il mio viso, alla ricerca di ben altra molecolare soddisfazione..foss’essa anche solo il calore di un bacio ormai da molto tempo lontano. l’automatismo divide le scuole che li hanno insegnati pensare, e le direzioni da essi prese esistevano già da troppo nei loro pensieri, e nel chi quotidianamente ne ha a che fare. premono il tasto e scendono, e che sia destra o sinistra loro vanno, perchè sanno e non sono. nel surrealizzare per nulla di queste impressioni, dimentico il contatto con il possibile lettore, ormai smarrito nei miei occhi che non può certo vedere. proverò anch’io allora a guardare con le parole. magari scorgessi gli incredibili panorami dietro i vostri pensieri, nel quasi sicuro ed uguale modo in qui voi mi guarderete. mi piacerebbe vedervi sorridere, di fronte al mio sguardo solo che teme di innamorarsi di un qualché che non esiste. l’unica cosa empiricamente tangibile del mio fare è l’allaccio alla tastiera che raggiungo, incorporando i miei umori allo strumento, corrompendo i miei stessi pensieri. ed il godere che ne si trae da una così perfetta geometria, che solo a volte di certo stomaca. cerco dunque alcune immagini che possano avvicinarsi al sentire un abbraccio che non posso ahimé ricevere, che sia per questo o quel motivo. e chi oltre il bianco che mi circonda potrebbe avvertire quei rumori che direttamente mi accompagnano, finirebbe con giudicarmi collocato in una realtà di certo più sua che mia. l’intestino è il primo a non permettersi un qualunque agio. lo capisco, e chiaro non gli tolgo il suo premio, di più giustificato nostalgico.
il cosa pensa una persona che mi guarda e sorride o quasi. quelle domande che si bloccano nel fango delle possibilità delle mie percezioni, facendo ruotare la mia possibilità di sbagliare, che macchia tutto di marrone, marrone caldo e denso.
mi ascolto, e cerco di non pensare ad altro.
sono stanco e non me ne accorgo. talvolta obbligato dal vicino a non accusarlo. in molti mi stanno invitando in molto dove, ma mai nessuno che mi chiedesse di parlare.
mentre desidero di possedere la grazia delle tue pose, purtroppo penso anche a quello che dici..antitesi della tua bellezza.