nonostante l’aspetto giudizioso di un semplice sguardo, sembra interessante approfondire il messaggio di quel tentativo inespressivo. aggiungo strati alla complessità di stare in un gruppo di dieci persone, a come alcuni provino difficoltà ad essere se stessi in un contesto simile. mi viene da vomitare, mi allontano dal gruppo e cerco nell’ombra un breve riposo, trovo solo l’illusione di questo. a volume alto lontane delle voci raccontano la noia delle loro giornate, avvolti da sonni profondi di anime lascive, giovani e spensierate. alcune non distaccano l’attenzione dal loro apprendere così legato all’esperienza. gloria del loro nome sveglia il midollo protetto da un affanno di acciacco che macchierà l’esistenza di dubbi enormi che come grosse nuvole creeranno solo ombre temporanee, non ci si preoccupa di quando sarà temporale. ascolto capace anche se stanco, distratto e continuamente messo a rimbalzo di frequenze forti e in larga presenza. mi rendo conto di non essere bravo, di non avere grosse qualità. solo alle mie parole molti hanno calcolato percorsi distorti, differenziati dai loro stessi, lontani dalla realtà futuribile delle difficoltà di un capace. saluto silenzioso i troppi presenti, delineo grossi segmenti nell’aria che mi pacificherebbero con questo spazio trasandato, blocchi di materia opaca nera che formano realtà complicate. sicuramente ogni dove si traduce in incastro di linee, densità folle copre nuclei già nascosti da intelligenze rese congrue malamente all’insieme. mi limito ad alcuni saluti troppo possibili e tengo sempre più retto lo sguardo e l’atteggiamento impegnato, devo trasmettere che ho un lavoro fatto di incastri di minuti inesistenti e stupidi. provo un forte sentimento di lontananza alle certezze di molti presenti, mi allontano non solo in silenzio ma pongo scuse a coprire quanto enorme sarebbe la difficoltà di spiegarsi, in termini di successo di ricezione di un messaggio reso pressoché leggibile. non ci sono spiegazioni coerenti all’essere a disagio in certi connotati sociali dispotici. coraggio, mi dico, il domani si muoverà nel disonore dello spreco dovuto al servizio di un reflusso apatico di abbattimento di barriere di pensiero che talvolta si risolvono in moti d’appartenenza di apatici che servono la bandiera come figli di una nazione fatta di vestiti e accessori. la noia è padrona delle ore di lavoro e le doti di abbandono dei molti. il mio sorriso non si nasconde a trasmettere la serenità della sua coscienza. cerco di essere bello per trasmetterti il peggio che ho potuto vedere, poi ancora mi allontano. mi stendo e cerco l’unico vero calore efficace al gelo delle mie ossa. gli occhi ancora fissano avanti a loro. il mio cuore fa molto rumore, di questo si servirà il mio silenzio.