la consistente percezione del volume sotto il muscolo. la convergenza di energie nonostante le mura tra di esse. l’incapacità della riduzione accompagnata dalla sorpesa dell’inatteso.
essere nella condizione di ritrovarsi comunque soli già in mezzo a pochi buoni.
il lontano amare di due entità; il ricordo delle possibilità potenti fonti di piacere. la particolarità della solitudine compagna dell’impossibilità in molti di capire. il solito vuoto riconosciuto nelle parole altrui.
non do agli assoluti forma assoluta.
la mia malattia non si cura con i sorrisi, di fronte a questo tu scappi come un granchio tra gli scogli; ed io, predatore, sto nascosto ed all’attenti. le mie pazzie hanno ragione d’essere; le mie stranezze ne sono prodotto necessario. lo stato d’allerta è alto. l’amarezza per ciò che non mi viene detto è forte. i numeri che non mi fanno leggere, troppi. l’immutabilità del mio sguardo, labile. nella continua ricerca ossessiva non dei suoi occhi, bensì del suo atteggiamento. lei si nasconde nella sua furbizia; da me segretamente smascherata oltre tempo. il suo amico è un fantoccio di cartone, addobbato e non pesante. io sono il giullare deriso di una corte sciolta. vorrei vederla ma non incontrare i suoi occhi. il ritardo è un obbligo, nonchè una qualità. la mia stupida istintività mi si ritorce contro. lei è silenziosa ma mi accorgerei del suo passaggio. anche se i rumori sono più attivi del nostro sostare. la vedo. ha evitato la mia finta trappola involontaria ed il suo amico..galleggia nel suo sudore.
la puzza di quel lago si sente solo avvicinandosi alla riva; figurati se vorrei nuotarci o fare un giro in barca. le escursioni sono finite comunque da un pezzo. ne ho bevuta un pò di quell’acqua. ne sono stato deriso. allora impegno la memoria al massimo. la rendo satura d’applicazioni, di immagini e codici di scrittura. e più volte dopo non troppi numerosi passi mi chiedo dove sto andando..nell’afflosciarsi della novità della cosa, stanca anch’essa di esistere. il giovane confronto tra me ed il mio voler essere. per fortuna non sono così ingenuo da voler far predominare uno sull’altro, sarebbe sc-emo. mi ritrovo in mezzo ai significati, in quella sensazione di sostare in mezzo alle acque, e quanto odio utilizzare metafore cristiane. continuo a modificare senza mai estrapolare la radice. continuo a potare rami già potati, spero nel sempre verde ma ho un pollice nero. non è che sia chissàchebello. penso alle persone con la testa da radio che vanno in giro per le strade, come se fosse carino decorare le cacche dei cani per strada; questo mi sembra. penso a delle isole allora. silenti e vuote, ancora padrone di loro stesse; ed al quanto io voglia mantenerle tali. ci andrei a cercare dei suoni mortali, destinati ad una pessima ed innaturale fine, precostruita nell’inconscio degli stupidi esseri che siamo diventati. le musiche da qui mi faccio accompagnare non vogliono essere altro che un tentativo di armonizzare l’insopportabilità emanata da coloro che si incontrano. ed il 99% li si incontra contro volontà. quindi cosa facciamo? ancora una settimana e qualche giorno e poi si tenta di nuovo di cambiare vita? vediamo come va la prossima passeggiata.
dovrei pensare agli estratti da portarmi dietro, e soliloquiare ad alta voce in più posti possibili, accompagnato da qualche nuovo amico, che ne tra lieti sensazioni.
l’ossessione dell’inglese si rifà presente. nella patologica odierna società è importante che tutti dicano le stesse parole. che già non ci capiamo con noi stessi. siamo pieni di acciacchi. cerchiamo concetti e troviamo bisogno di farmaci. con le dovute metafore posso avvicinarmi a molte persone. far si che la mia nausea venga condivisa così da prenderne poco a testa, non so quanti saremo, e renderla più leggere quindi meno indigesta. la volontà è sparita e le domande sulla vita aumentano. mentre cerchiamo una strada che non conosciamo ci allontaniamo sempre di più dalla meta. come ciechi nel buio bosco ci facciamo travolgere dall’autostrada dei suoni e rimaniamo stesi a contemplare quello che più non siamo. ma vagando e vagando prima o poi una strada affascinante la si trova, e con tutte le forze si cerca di seguirla. ci saranno varie cadute di stile, ma, finalmente, potremo guardare indietro soddisfatti, o almeno con un sorriso. poi invidio i “pazzi”, perchè il ritorno alla relatà diventa sempre più schiacciante. ma ne ho ancora di strada da fare.
penso alle novità quando sto solo modificando piccole parti di un isieme già piccolo; accarezzo solo alcuni dettagli. mi limito a limitarmi. poi mi stendo e mi proietto mentalmente come galleggiante nel mare, che, quest’anno, tanto, praticamente come un amico, m’è mancato. mentre ascolto un lato nuovo del mio passato penso ad oggi. a quanto sia marginale la mia presenza ovunque: tra la mia vecchia città in cui non vivo più, tra i pensieri degli amici con cui non vivo più ma da cui è difficile staccarsene, ed alla città nuova che già ha dimezzato le proprie sorprese, e mi chiedo quanto durerò, in mezzo a consolidazioni formali e formalizzate. allora intavolo più d’una discussione e splitto la mente in due umori. rimango sempre io, con quella sensazione di inadeguatezza intestinale non permanente. mi lamento di cose che non conosco e quindi non trovo mai la cura, almeno non quella adatta. del resto è bello essere infelici.
decido di distrarmi un attimo e leggo le parole di un, credo, perfetto estraneo. insomma egli mi conosce, così bene da descrive quello che sono in questi giorni. la cosa mi sposta l’umore. forse non vado più avanti.