c’era aria di sconfitta. il nervo del pollice scattava ripetutamente. la mia curiosità si svegliava inebetita, pronta a richiudere gli occhi una volta resasi conto di quel poco che v’é. ogni tanto lasciavo le palpebre aperte un pò più a lungo, adoravo godere del modo in cui la luce dava ombre alle cose. sarà che a quell’ora dormo sempre. ero più ragazzo di oggi. se sembravo allegro fingevo, di più di quanto ora quasi interamente non faccia. tante volte ho agito sulla mia immaginazione già operante. la sensazione di auto infliggermi seri danni con l’unico scopo di raggiungere “pensa che bello se così fosse”. urlavo in punta di piedi il suo nome. era notte e vicino solo fabbriche vuote di persone. digerivo a malapena gli scarti di cena che ingurgitavo: senza timore e senza buon senso. facevo sempre facile immaginarmi altrove e mai affrontavo, poi, tali situazioni. ma, questo, è un altro discorso. c’era un’amica che mi voleva tanto bene. mi abbracciava e rideva con me. la immaginavo spesso nel mio letto, ahimé. c’era quella tipica arietta che accarezzava il collo e ti faceva alzare dalla panca per andare a casa. ti ricordava che bisognava rispettare degli obblighi. molte persone graffiavano la corteccia a me più vicina dandomi sollievo; creavamo atmosfere poco apatiche, tanto chiare dall’apparire quanto noi. andavamo di corsa dai bambini che guidavano con le mani delle macchinine, creando una propria legge fisica di movimento. lasciando perdere i nostri discorsi mentre allisciavo la barba. sono sempre stato puntuale nonostante mi dimenticassi spesso qualcosa che andava recuperato. insieme avevamo iniziato a tracciare una lunga linea che, grazie alla sabbia, invecchiava a modo suo. mi si chiudevano gli occhi ed ero nudo. mi ricordavo quanto mi piaceva essere un bambino. avevo la consapevolezza di cosa non avrei potuto più fare. forzavo già la digestione. ricevevo molti più abbracci. molti poi non mi riconoscevano. ero accanto a loro ma guardando diritti non mi notavano, e stavo in silenzio nel timore dell’incontro tra gli occhi. se pensare volesse dire solo dirsi delle cose avevo perso. vedevo ballare i bambini correndo. giocano sinceri cercando di padroneggiare già cultura. la cosa mi indisponeva. l’emozione di poterla incontrare si faceva forte. pensavo poesie ma raccontavo saggi. volevo mostrarmi pronto ed importante. osservavo il mare con l’amarezza di chi comunque già sapeva che non avrebbe potuto più farlo così di frequente. mostravo la lingua al vento per baciare la salsedine. accarezzavo la sabbia immaginando i tuoi capelli. ero sincero quando ti telefonavo. peccato che fossi così distante. peccato non potermi tuffare così spesso.