ciclicamente si ripetono numerosi processi. a diverse tornate di ineguale raggio. come pianeti che percorrono il loro destino, i vari cicli hanno quindi diverse frequenze di ripetizione. alcuni enormi, altri miseri e fastidiosi come le zanzare nel dormiveglia. nella collisione quasi perpendicolare con questi percorsi l’intuito mi fa sempre iniziare bene, ma poi si cade nei loro moti nauseanti, e non so poi più reggere le tensioni e l’inerzie di tali energie che si muovono continuamente: a morsa di boa, alcune di queste, mi tolgono il respiro e, nella perdita dei sensi, mi distraggo da quanto mi ero prefissato di fare e così anche le speranze si perdono tra i crampi dello stomaco. disorientamento che mi rende sgarbato e debole, poco coerente e fastidioso. lo so ma è giusto che tu lo pensi e non me lo dica.
feroce la percezione della previsione errata del tuo giudizio stringe alle caviglie, a mo di peso, limitando. proprio quando cerco sincerità mi regalo sul groppo pesanti menzogne. ho sbagliato quasi a ridosso della consapevolezza diretta delle mie azioni. non ho avuto il coraggio di esporre i miei occhi, forse da sempre troppo sensibili, e impauriti si sono retratti come i tentacoli di una lumaca, viscidi e limitati dal loro stesso produrre. tu mi hai regalato i tuoi occhi, io ne sono stato contento e lusingato come mai fin’ora mi capitò. dentro un’enorme sorriso ha rallentato il battito cardiaco. mentre parlavo mi tenevo continuamente a freno, sforzandomi a tal punto da aver probabilmente omesso parti di senso al mio discorso, e forse ti ho offesa. cercavo difesa quando non c’era attacco proprio come mi scoprii di fronte a criminali predatori, che mi graffiarono gli occhi. sarà per questo che non ti ho mai parlato di quello che vedo.
ti ricordi il giorno del mio compleanno? io non molto; ricordo solo trondheim, ma nient’altro. ricordo anche una ragazza in un auto, si nascondeva il viso. ho fatto finta di non farci caso. però sembrava proprio il ripetersi di uno di quei cicli, il solito forte schiaffo ai miei errori. le mie paranoie lì come acari che inghiottono polvere; torno a casa e le testate sul legno, quasi a veder scorrere del sangue sulla fronte. se è così che dovrà andare sempre come farò a resistere? si digerisce male due-tre settimane poi inizia tutto a risplendere; quante altre volte già me lo sono detto, quasi sempre attraversando la città di notte, come stasera, come ieri. faccio finta di non aver visto e ancora una volta aprirò tutto, sarà anche per questo che vado a rilento, e misuro gli sbagli; ma ora la fatica è doversi trattenere e sprecare energie a costruire la situazione ideale dove incontrarti, la situazione che non può esistere, mentre ti sei già stancata di me, sto zitto e mi faccio dimenticare, cancello le mie qualità semplicemente non esprimendole nelle situazioni giuste, e queste, silenti, si evolvono e migliorano. lenti movimenti a pennellata, ti immagino accanto a me ovunque, a tenerci la mano. ascolto ogni cosa tu abbia da dire e non chiedo niente, voglio solo conoscere quanto tu senta di dirmi e non forzo i tuoi discorsi con domande evocate dal tuo desiderio d’essere accarezzata, ti osservo e ti amo con gli occhi, e faccio tesoro di quanto dici, chiedo poco. non esprimo apprezzamenti in forme a te comprensibili, già amandoti raccolgo ogni cosa che semini, nonstante non lo dichiari, fosse l’errore più ampio sarei contento. il grido esclama stanchezza. ti sto pensando. sto pensando fortemente a cosa dirti, mantenendo l’intenzione di non impostarmi troppo. poi arriva chi dice “non devi essere troppo sentimentale” “devi essere diretto” “non devi darle troppe attenzioni” “blablabla”. non sono mai riuscito ad impostarmi in una situazione del genere. sarò da te prima possibile.