fiero il mio occhio s’è dimenticato che esisto, facendo finta di niente spazza sul proprio sentiero sterrato solo illudendosi di pulire, continuamente spostando la polvere. trova pace al pensiero di occupare bene il tempo, il quel concetto così culturale di bene, di ben fare, di concretizzare quello che non filosoficamente è il tempo. acqua di rose a profumare l’ambiente, lampade ben sistemate si rivelano più importanti del mobilio di cattivo gusto. è sera e si ben spera. amici che urlano che ormai è tardi, io sicuro che questa notte porterò a compimento notevoli riflessioni che al risveglio, nell’ormai albeggiante pomeriggio, verrano vanificate dalle realtà degli altri, così irrispettose, così invadenti. silente ascolto i rumori che suggestionano il mio percepire l’intorno, nella stanza, con altre poche persone, tutte assopite, alcune che pensano ma-che-fà-questo-qua? e sai com’é. tra i lamenti si apre lo spiraglio, lo scuro tendaggio si apre leggermente, tanto quanto basti a scaldare le mie incertezze; la tua figura scorge nell’ombra, il controluce ti descrive. riconoscono la tua bellezza da un proiezione ombrosa del mio desiderio di vederti. soave e fioca la musica accompagna l’aumento del battito cardiaco. il mio sorriso potrebbe essere interpretato come incerto, la quantità di sincerità nel mio muovermi sembra evidente. non v’è lamento languido nello sbattito di palpebre, tutta la concentrazione è votata a controllare il timbro vocale per lo sfiato liberatorio, da contenere, da dirigere, direttore dell’orchestra che mi sostiene. pallido aggrotto le dita, strano discuto su dettagli irrilevanti. il suono basso mi emoziona e forte mantengo il viso inespressivo. è danza a forma d’arte nel mio pensare in quel momento, che dura molto a causa del non averlo mai vissuto. riporto lo sguardo sullo schermo. sorrido e godo dei pochi attimi di quel rifugio che, in pochi giorni, a saputo permettermi di sentirmi a mio agio, quando camminavo, mentre ti pensavo.