gli amici che mi confermano quanto la mia immaginazione sia andata nell’esatta direzione dei convenevoli concetti che mi hai fatto pensare, sapientemente tu. feroci, i sogni, percorrono sincopaticamente l’assurdo, accompagnando l’inevitabile smarrimento dei loro messaggi. e lì che ti incontravo, le utlime volte; non posso affermare lo stesso, quindi, per i giorni appena trascorsi. lievita un umore già percepito, acido impasto di collisioni chimiche e desideri inesplicati. non ci sarà l’epica esplosione che avevo immaginato, il mio cervello elabora sempre le sue illusioni trasformandole in quelle convizioni che spingono il resto ad agire incautamente. mi lavo le mani e mi dedico al silenzio di un teatro vuoto, com’é che del resto lo preferisco. visualizzo immagini da erbolario, fotografici ritratti stomachevoli e ben colorati a cui mi è naturale aggiungere decomposizioni e marcescenze varie, organiche e non. il mio limite grafico non si propone bene all’elaborazione delle mie ansie, dei contenuti degli istinti delle mie visioni. mi comporto male con la mia percezione delle cose ed è al fiume che getto l’infinito guardaroba con cui dovrei vestire la montagna di fogli bianchi di cui continuamente mi circondo e ne accumulo. non v’è ordine né organizzazione nel mio procedere. è il delta di un fiume che crea mille altre sorgenti che ancora, costantemente, avanzano verso uno sfociare ahìnoi non ancora comprensibile in nessun orizzonte. chi più velocemente, chi attraversando grandi distese, grandi valli. gallerie infinite, come quelle norvegesi e l’eterna luce che illumina i chilometri. la sensazione di non terminare mai di guidare per il semplice scopo di fare quel percorso non stabilito per finta, obbligato in mezzo a mura di neve alte come non le avevo mai viste. il buio non lo cerchiamo se non quando decidiamo sia il momento di dormire. le collaborazioni che non si contano per la costruzione di un’ambiente affascinante e sgradevole. non credo apprezzeresti molte musiche a cui sono affezionato; anche per questo credo tu mi abbia mentito. non abbiamo mai parlato di quello che nascondo dietro gli occhi, dietro i vestiti. giacche pesanti allora regaleremo agli insicuri. occhiali da sole per la prossima volta che ti sorriderò. un passo indietro quando dovrò salutarti. dall’altra parte di un tavolo per mostrarti il palmo della mano e molta poca eleganza per congedarsi dalla situazione. ripetermi continuamente che mi sono sbagliato, e non farlo diventare un paranoico mantra. la carta bianca mi aspetta e come sempre non ne approfitto pienamente. la luna gestisce il mio umore e veglia sulla mia pazienza. non ti sei perso niente, mi direbbe un amico che posso solo immaginare. mi affido al ritardo di quei suoni che continuamente ricerco, penso. ascolto i concerti che avrei voluto fare. immagino i teatri vegetali in cui li avrei ambientati. la stanchezza dello sguardo a cui continuamente è richiesto di muoversi, che, anche oggi, trova il tuo orologio, ed al suo fuso orario sorride ricordando l’ennesimo ritardo appena compiuto, sbiarciando la tua visita, quasi praticamente quotidiania. mi caccio spesso in queste situazioni, ma sempre e solo quando empaticamente non si è raggiunto un vero contatto, una accondiscendenza alla qualunque relazione, all’indispensabile base di un qualunque altro tipo di relazione più complessa. non basta sorridere, a questo punto. lascio la porta socchiusa e il volume di una musica poco invitante molto alto, gli ostacoli sono al minimo. la lampada con cui disegnava mio padre quando si è impegnato per diventare un architetto illumina gli esperimenti grafici che ho condotto per anni, senza troppi collegamenti logici, senza troppi perchè banali, senza troppi esplicazioni da artista di sto cazzo. convengo che sia il momento di riprendere gli appunti, ed amplificare le così distanti tra loro strade che ne sono naturalmente emerse, giovini, senza troppe macchie di quella cultura che mette l’amaro sulla lingua. vedo, che sono lontano dal costruire la parvenza di un prossimo futuro stabile, nella non economia, nelle mie idee fertili, che non trovano il giusto colono nel proprio padrone. sacchi pieni ai miei piedi, la stanchezza c’è solo perchè non ho ancora iniziato a spostarli, con la consapevolezza che dovrò poi un giorno di nuovo muoverli e, non sembra certo, che dovranno uscire da questa stanza dove, prigionieri si chiedono quand’é che avranno la loro occasione. non scuoto nulla, la polvere arriva perchè la finestra fa entrare tutto ciò che arriva a questa altezza, niente di incredibile. le telefonate che ricevo mi tengono incollato a quello che succede nelle mie vicinanze. lo specchio mi descrive quanto talvolta non vorrei essere e le paure di cambiare, che prima non c’erano, che da giovane si divertivano a farmi immaginare delle rughe. pelle stanca cornice di idee germogliate e tutt’altro che mature. un bacio è comunque per te oggi. perchè nonostante tutto ti penso, nonostante tutto i suoni che la neve elimina li ho goduti, mi sembra un buon momento per inorridirmi da quello che realmente sento. non conosco certo dove mi collocheresti. forse un giorno ne rideremo, forse mi piacerebbe davvero. difficile dirlo. il conteggio dei passi non aiuta a dormire. i suoni diffusi confondono. c’era uno strato di miele sul libro di ieri. non abbiamo certo accettato i suoi confronti. era buio e non c’era attesa. come cani accordammo alla fine. chiare lettere di discorsi mordenti. fusti maturi e altalene sicure. non ci fu fossa che seppe virare la distrazione. erano le nostre aspettative che ghiacciavano con il fiume.