gelato.

per quale motivo mi fisso le mani mentre immagino le geometrie che vorrei disegnare? che rapporti ci sono tra quanto produco e quanto nelle profonde pulsioni io sono? quante persone mi pensano mentre mi sento solo? ce ne siamo appena andati e lasciamo soli i rumori che ci tenevano compagnia. di che passione stiamo parlando? non possiamo guardarci a lungo negli occhi se io non mi sono detto tutto quello che ho già capito della mia comunicabilità. cosa si aspettano le amiche che vengono a parlarmi? quanti dei miei interessi derivano dalla mia sessualità? psicopatico, cerco di abbattere la battaglia contro me stesso e quanto lascio indifeso colpisco. inizio solo adesso a capire alcuni commenti sulla mia distrazione di questi tempi; forse hanno ragione, o semplicemente non mi fa bene stare sveglio più del settantacinque percento della giornata. lascio parlare ancora una volta il mio silenzio, e spio come una iena affamata sui movimenti di chi mi attrae. ne parlo con un’amica incontrata non a caso e senza preavviso, dice sorridendo che le faccio paura. mi guardo le unghie e forse non mi riconosco, succede più di una volta al giorno. mi hanno obbligato per giorni interi a non poter stare in silenzio, mi hanno privato di energie che avrei ben sprecato; mi hanno detto un sacco di grazie e non a tutti ho saputo rispondere. continuamente e con la stessa cadenza, mi voltavo alle mie spalle verso l’entrata, controllando l’ora ogni venti secondi, potendomi assicurare che la mia percezione del tempo avesse riferimenti analoghi alla mia tachicardia. mi rendo conto che appoggiando il gomito sul tessuto a me vicino non cercavo nient’altro che la tua mano, e in quel momento mi facevo schifo e mi rendo conto non sarei capace di pormi come soluzione alle mie visioni, e mi zittisco subito e forse un giorno ne parleremo. a tutto si aggiunge la paura di compromettere il sorriso che fai quando mi vedi. piange il cielo lontano dai miei ricordi, ce ne facciamo ragione nel buio della sala che ospita il nostro stare in silenzio, e ci parliamo distanti a fasi alterne giorni dopo, lasciamo che tutto lieviti, dietro i nostri occhi. sono felicissimo per i tuoi progetti futuri; so che vorrei fortemente esserne parte. torno sui miei passi, controllo le orme: noto con amara soddisfazione di essere andato molto in là al resto del gruppo, mi siedo un attimo e capisco di non poter stare fermo. allora speriamo nella tua velocità, che, nonostante io risponda triste alla mia assenza nel tuo essere, continuo a sollecitarne la prestazione, a renderla parte integrante del tuo muoverti senza lederti. ritorno ad essere un bambino che sa che un giorno vicino non potrà più avere il suo ciuccio. rattristisco sempre di più alla vista delle maschere che l’ognuno si prende la briga di non dimenticarsi mai, dovrei allora smettere di credere di conoscere molte persone. conosciamoci meglio un giorno in cui abbiamo altro a cui pensare.