a palpebre chiuse alleno la mia pazienza per la prossima rivelazione, capodanno di un sorriso. puliti, gli scalini di un salotto ombroso ci invitano ad entrare. il silenzio delle mura non sfruttate ci riempie di stimoli sull’avvenire, noi che ancora siamo all’oscuro di tutte le malattie che questo luogo si porta dietro. come hai detto che ti chiami?
il cielo ha il chiaro colore della pace del presente, stesi sulle nostre sdraio ci godiamo una di quelle rare pause che la vita offre e l’inconscio prepara il palcoscenico della prossima tempesta, già sicura, già intuita. mi sembra che adesso la realtà non possa offrire all’immaginazione la possibilità di creare qualcosa che non appartenga a quanto il nostro cervello abbia vissuto, proprio come dicono che nei sogni esistano solo persone che abbiamo incontrato; se non potessimo affrontare virtuosismi nei sogni le mie speranze nella realtà perdono completamente forza. forse qualcuno ha da sempre ingannato il nostro immaginario. non posso fare altro che osservare fuori dalla finestra tutte le assurdità che non avvengono; ogni tanto qualche foglia cade.
“cosa c’è?” chiede. non mi sento del tutto bene, vorrei andare a casa.