daily.

non c’è liberazione per quel povero sguardo vuoto che curioso riunisce le sue pulsioni al suo momentaneo giacere in mezzo ad una folla che costante è affamata di quelle emozioni che noi tutti cerchiamo quando ci muoviamo tra le cose, sugli sguardi, negli odori. si siede sulla scalinata a fissare il ricordo delle mie labbra e delle mie mani. forse la ricerca della mia attenzione si distrae dalle occasioni che lei ha trascurato quando n’ebbe occasione. il mio tacere ha esigenze esistenziali, a riguardo delle energie, esse carenti, che devo preservare per il resto della settimana, perché, oggi, è lunedì. lei tiene gli occhi bassi; ogni tanto li alza e cerca i miei che, coscienti, non le dicono nulla, se non che la stanchezza ha inglobato le mie mimiche facciali. la mia cordialità viene investita ogni secondo da qualcosa di vorace, indomabile richiamo primitivo di stupidità nella forma dell’ingordigia. faccio il possibile per navigare la normalità della situazione estrema, senza radicalizzarla al suo massimo, all’esplosione del suo non più possibile contenimento. mi lascerò sfuggire l’occasione di vivere uno stress di ampia portata, nel prematuro collasso dei miei futuri sorrisi. sarò anch’io parte dei rifugiati nelle proprie abitudini, tra le scuse che graffiano gli specchi, lor cani che creano un effetto domino che sento potente sulle spalle, di sorpresa. la soluzione è invadere il buio e cercare con lo sguardo un buco inesistente ove la luce possa esprimere un concetto, non ci sarà soluzione al richiamo dei miei desideri, che solo in quel buio ambulante potrebbero vivere per sempre. ma, prima o dopo, o io o lui ce ne dovremmo andare. intanto il mio bisogno d’acqua supera la capacità volumetrica della mia bocca: me ne sto con le palpebre a metà, mentre la maglietta si bagna, appoggiato a più parti metalliche, con lo sguardo di un animale sotto sedativo che barcolla goffo. mi circondo di rumori, perché il silenzio ipnotizzerebbe la mia ricerca che matematicamente sarebbe interrotta, e gravissimo trauma procurerebbe tale rottura. faccio matassa dei miei malori e mi distraggo tra le opinioni, nello studio della non comunicazione che a percezione semi conscia decidiamo di sposare, per comodità, per noia. faccio bagaglio degli altrui errori e su di questi appoggio la mia flebile stabilità fisica, il mio giudizio incostante. nauseato dai miei impegni cerco rifugio nei sapori, distrazione dei sensi, soddisfazione al palato. i sapori della sua mente però disturbano, corrodono lo scheletro del mio fragile equilibrio all’interno di una situazione già di per sé delicata e continuamente sotto pressione. non posso far altro che parlarne con il silenzio, mio unico amico, mio vero uditore. sempre mi dimentico dei pesi che mi porto dietro, distratto dai miei discorsi alle ombre. mentre fatico me lo ricordo, che potrei ogni tanto alleggerirmi. accarezzo la polvere per percepire quel qualcosa che c’è tra me e quello che abito. trovo solo superfici appuntiti che incidono nei miei futuri ricordi dei momenti qualunque. cerco il riflesso del mio inconscio sulle reazioni delle persone al guardami; indago l’altrui sguardo alla ricerca di una presa di coscienza della mia entità che, può capitare, non sento così presente. mi vengono in mente le persone con cui vorrei fare questi discorsi, sempre lontane, sempre affollate. ho intuito un’espressione curiosa, mentre pensieroso mi allontanavo da alcuni pesi, era una ragazza tranquilla, che aveva trovato riposo in un angolo poco prima per nulla valorizzato. avevo uno sguardo equilibrato, tranquillo. ho invidiato il suo viso ed il suo cappotto. mi sembrava il momento adatto per tacere, per guardare per terra, per dare dimostrazione al senso del mio sostare in quel preciso momento. lo stato comatoso della mia autostima sembra preoccuparmi in questi momenti, poi ricordo il velo di fantasia che v’è appoggiato al di sopra, e la memoria torna alla sobrietà del non esistere, del continuo apparire dal quale siamo soggiogati. la mia dose d’immagini non è stata sufficientemente saziata oggi; deluso mi guardo le mani sporche e non curate. ringrazio la mia pazienza e maledico la mia sveglia, nemica della mia tranquillità. ho fiducia comunque nei miei squilibri, sempre partoriscono dissensi fisiologici che mi permettono la permeazione di quanto respiro in precise ed inesplorate zone d’influenza nel cervello. sospiro alla comprensione di torsioni corporee nelle situazioni sociali al mio fronte. mentre ragiono è la stanchezza a porsi di fronte il mio raggio visivo. mi nasconde tutto. mi obbliga a tenere gli occhi aperti per essere conscio del momento in cui ne sarò liberò. la tortura che ora, più di tutto, mi lede.