incontro.

il favore che chiedo al tuo ritmo di non danzare con me. sono rimasto d’accordo che saremmo rimasti d’accordo così, nella mia immaginazione aveva tutto senso e le nostre risposte si sarebbero dovute incastrate l’un le altre con quella tipica precisione d’intesa esistente nell’esclusività dell’unica mente pensante l’attuazione stessa della fantasia perfetta. è bastato un sorriso appena ci siamo incontrati, bello e diverso ugualmente al vaneggiamento tanto sognato. l’equilibro si perde nella ricerca della sua coda, urla il suo nome, si agita alla ricerca di uno specchio. precisa la consapevolezza dei differenti punti di vista dimenticati si insinua negli acidi dei muscoli del sorriso, e la mia preoccupazione si ripara sotto le spoglie della gentilezza, perché, piuttosto che dimostrare alcuni dei miei principali impulsi chiaramente, il rispetto e il perbenismo accolgono le incertezze espresse altrui, e i conosciuti impulsi tipici dell’esprimersi mimico e gestuale, lontano da una reciproca e comune capacità d’accordarsi, portano in trionfo giustificazioni e ideali inespressi, che si vogliono difendere solo perché talvolta troppo ragionati; sembrerebbe proprio indoveroso doverli abbandonare adesso o nell’unica occasione che ci si è presentata per confermarli. il ritrovo non cambia faccia. il suo anticipo e la sua ricerca vi si infittiscono a vicenda, giocano a nascondino, e si riscoprono sempre sorridenti e con la voglia dell’altro. mi sveglio alla mattina che i miei desideri sono rimasti orfani, dal padre che li genera e dalla madre che li ha fatti crescere. nessuno chiede niente all’altro. ci guardiamo negli occhi, in quel momento in cui io cerco di tendere all’infinito, a tutto quello che non ho potuto o voluto esprimere. quell’unico momento in cui ci siamo dimenticati tutte le complicazioni che abbiamo incontrato sul tentativo di sviluppo delle nostre illusioni. si creano i doppi mondi che ci sanno ricordare solo le certezze di cui siamo gli unici padroni. è più semplice mentire anche a noi stessi servendoci degli altri, perché almeno non saremmo gli unici garanti delle nostre perversioni. ce le presentiamo a vicenda, così quando sarà occasione le definiremo con meno vergogna, con la sicurezza dell’ascoltato. poi scorre veloce la sicurezza, ce ne andiamo entrambi che siamo arrivati ad un dunque, ma il domani nasconde la naturale rielaborazione pseudo spontanea del sempre. cerchiamo di definire i limiti dei nostri qualcosa. facciamo avvicinare quello che abbiamo visto insieme alle nostre abitudini linguistiche indefinite, di comune uso. prende forma il principio dell’indietreggiamento. a servizio del nostro bisogno di nulla ci riempiamo di impegni, cerchiamo appositamente di respirare a fiato corto, perché il fermarci ci da vita, e la nostra società non ci vuole vivi. all’attenzione delle scoperte consapevolezze mi vesto elegante. espongo le mie bellissime disposizioni da gentiluomo sulla carta più bella, e ne faccio un dono di tutto punto, di chi ha saputo fare quel gesto che certamente non verrà colto con la carica tipica della finzione. sarà un grazie tirato con sincerità. oggi e domani si incontrano in una dimensione che non volevamo conoscere. niente è il tutto che ci regola. i nostri respiri si prendono carico del peso del loro stesso sostentamento, che sarà minore di quello che offrono, e gli verrà fatto presente che tutto questo non è accettabile. è il buio l’unica dimensione in cui abbiamo modo di conoscerci, e abbiamo quella materna sensazione di poterci nascondere al suo interno, dove i nostri colori non subiscono le troppe e numerosissime influenze dei tutto. cerchiamo lo spazio che le nostre idee meriterebbero. cerchiamo di nasconderle con una mano e di mostrarle con un’altra. niente alla faccia dell’accettazione a disposizione della pazienza stessa. se siamo due unità alla ricerca dell’altra cercheremo di dichiararci per quello che siamo, difendendo la forza pura generata dal nostro amore. siamo noi il nostro niente, di noi ne facciamo un tutto. e quando tutto dovrà essere niente, un tutto di niente prenderà possesso della memoria esaurente della nostra percezione. cavalieri di noi stessi, non avremmo patema di attendere per mesi delle risposte che vadano ricercate con imbarazzo, con innocenza. a favore di un complotto che non esiste. iniziamo a fare girare delle voci, queste prenderanno le forme che vogliono. su queste nasceranno delle storie di cui non ci interesseremo direttamente. niente ha il valore del nostro tutto. noi non ci accorgeremo di niente. tutto prenderà forma ognuno partendo dal proprio niente. l’interesse reciproco ha sede nei forse, nei sogni che facciamo passare per veri, quando ti fanno le domande importanti. ci accorgeremo della realizzazione dei nostri errori intuiti alla loro concretizzazione, dopo averli visti maturare, con la certezza di averli riconosciuti e, mentre questi crescevano, metaforizzavamo con le crepe tipiche dei cedimenti. silenti e fondamentali, come le domande sul domani, che non ha forma perché non l’abbiamo esperienzato. ci coloreremo con il niente che abbiamo trovato, e solo chi avrà la sensibilità del tutto si accorgerà del nostro sincero sorriso timido.