è il mio occhio nell’oscurità, che sa gioire dell’attenzione su di esso accentrata dall’unico spiraglio di luce che lo descrive. muovo lievemente la testa e cerco di far acquisire bellezza alle ombre che vi si poggiano. sembra che io sia qui a richiamare l’attenzione e basta; come ho fatto allora ad immaginarmi di fare quello che vorrei fare? è il silenzio invernale quello che mi ispirerebbe, dove sarei sicuro di riconoscere chi fa le cose per finta e chi si meriterebbe quanto non ha. una bellissima fotografia, il ritratto di una speranza che ha sempre e solo vissuto nel mio silenzio. ho giocato le ore da bambino dicendomi che nessuno avrebbe mai dovuto scoprire i segreti delle mie fantasie. ho custodito la mia personalità come una reliquia, senza affibbiargli ridicoli significati extra umani. non posso rifugiarmi in definizioni da vocabolario per spiegarti il più precisamente possibile quello che sento, mi basterebbero delle immagini che non so ancora come poter girare. è inutile che ti descriva il mio sorriso quando potrei solo mostrartelo, anche se non so da dove iniziare. soggiogato da potenzialità che potrei far fruttare mi rinchiudo in un angolo, e aspetto che il vento mi sporchi il viso. mi affido a quello che dovrebbe succedere se mi convinco di non porre le mie energie alla modificazione degli eventi. non posso mentire quando sono davanti allo specchio, eppure, talvolta, mi chiedo veramente se io sia solo o meno. quello che le mie mani vogliono sentire consiglia la tua presenza. devo fare lo sforzo di prendere a schiaffi i freni che la mia educazione pone ai miei desideri, devo essere coerente con le mie sensazioni, sarebbe poco elegante impormi d’impazzire. raccolgo adesioni da tutti gli organi. lamento sempre meno riguardo i ritardi della mia razionalità; pedalo forte proprio per mettere sotto stress i miei pensieri, e allenarli allo starmi dietro in un periodo così importante. cerco di disegnare percorsi terapeutici per la mia esigenza di simmetria. cerco l’odore della mia pelle, la forma delle trame dei miei occhi. rendo ruvido il mio commento al tempo, affacciato verso l’impero di cemento non ho prospettive di consolazione. mi sta divenendo difficile trovare punti di riferimento nell’immensa tempesta che mi impone un equilibrio instabile. serio mi impongo di non fare troppo tardi, è già sera e i nostri tempi non sono uguali. perdo volontariamente tutto quello che mi sono portato, devo camminare libero e trovare spazio a quello che voglio riempia la mia attenzione. devo concretizzare il mio desiderio di te nel mio tempo. non posso diminuire la tensione, devo viverla e riassumerla in un respiro lungo, cosciente del sentiero prescelto, che, finalmente, ho avuto il coraggio di affrontare. ce ne stiamo tutti zitti e nello stesso spazio e dovremmo renderci conto che ognuno di noi con lo sguardo nel vuoto sta vivendo un mondo potenzialmente esclusivo, dobbiamo tenere conto della responsabilità di un nostro sguardo. cerco di fare il punto di una situazione piuttosto distesa sullo spazio, spalmata in tutti gli ambiti che poteva intaccare; la mia mente non vuole prendersi un carico più grande delle sue abitudini, ma il fascino dell’ostacolo richiama forte in ogni momento, ad ogni ora, contro ogni apatia. non conosco traguardi che non siano i tuoi occhi. è il pensiero di quanto contengono deve essere il mio carburante, e come alcune donne del sud dissero, ti chiamerò pezzo di cielo.