tentavo di liberarmi tirando la testa al muro. sorridevo poco da mesi. la bicicletta era la mia fidanzata. mi era stata prestata. era maggio e c’era quasi ancora la neve.
come sempre fantasticavo sul futuro. non sentivo bisogno di fare pratica con la telecamera. se era giorno desideravo la notte. se era notte avevo timore del giorno dopo. non abbracciavo nessuno da mesi. i boschi erano grandi, la loro energia immensamente sprecata. avevo bisogno di una persona con cui osservare il fuoco. le stelle regnavano ogni notte, ma tutti si guardavano le scarpe. i giochi di società erano esibizioni di tecnica. ascoltavo le registrazioni dei miei amici che dicevano quanto non avevo ancora predetto. devo stampare un disco e non so che musica metterci. devo stampare una maschera per affrontare domani. già da presto il sole squillava per obbligare il risveglio. anche qui constatai che mi facevano schifo tutti. ogni giorno una doccia era necessaria per idratare la mia pazienza, per ottenere la tanto cercata solitudine. ero più in compagnia quando cucinavo la pasta che non quando mi confidavo con una persona. per fortuna c’era la musica e chi la sapeva fare. noi ci siamo divertiti a correggere le nuvole, mentre buttavamo la nostra cultura dalla finestra. sfruttavamo il solstizio per ricordare e sperare l’equinozio. la luna piena era fonte di immaginazione. nel mio sudore c’era di tutto.
ricoprivo le siepi di glassa, e rendevo contenti gli illusi. poi mi scusai con le piante e non le trattai più male. accendevo fuochi solo per lavarmi. la sabbia mi accolse fresca. i ricordi giocavano con me. il colore di quel cielo avevo cercato di pennellarlo. la depressione delle mie emozioni era caduta dalle scale e ci mise un pò a riprendersi. i pescatori mi facevano riflettere su quanto poco facessi nella mia vita. guardavo gli altri sperando in qualcosa. i sassi che lanciavo perlopiù finivano in acqua. mi sforzavo per non essere banale. l’apparenza specchiata sugli occhi degli altri non la consideravo. cercavo di più nel colore dei capelli e nel come questi riflettessero la luce. la mia immaginazione mi faceva innamorare delle ragazze più lontane. sapevo fare grandi passi ma non volevo mai mettere le scarpe adatte. appena si scottavano i piedi avevo giusto respirato. mi spostavo nell’ombra che mi confortava. ero più sincero dopo mangiato perchè non ero teso. mentre gli altri dormivano sull’erba cercavo di vedere i loro sogni e molto spesso mi spaventavano. facevo grandi pause di caffè. poi la noia diventava lenta. e solo persone con particolarità rilevanti si mostravano al sole in principio di discesa. fino all’ora in cui il riposo era consolidato. e allora si correva verso la stanchezza per non rischiare di fermarsi a riflettere a quante volte si era evitato di parlare dei nostri pensieri. scappavano tutti al rumore delle onde. guardavano le stelle per addormentarsi. non aspiravano a conoscersi. era caldo e la gente si copriva. l’energia del vento anch’essa sprecata. non riuscivo a dormire se non avessi osservato le mie parole dette ad alta voce. ci pensavo tra gli alberi, mentre le onde comunque scandivano il ritmo. venivo spesso interrotto dalla tosse altrui. le dighe dei bambini duravano pochi sorrisi. mentivamo sulla nostra età per giocare più a lungo. giovani che speranze non trovavano mai spazio. giocavamo a calcio per sudare ed urlare. ci abbracciavamo tanto perchè condividevamo un sacco di silenzio. non era mai banale una passeggiata in riva al mare. il vulcano spesso ci invidiava e non ci curavamo dei suoi lamenti. non andavamo lontano dai nostri occhi. venivano amici a chiederci dove eravamo stati. sottolineavamo l’importanza dei nostri segreti e poi non interessava più niente a nessuno. parlavamo troppo per chi ascoltava al massimo la pubblicità. eravamo solo noi a soffermarci sulle cose che incontravamo. ci volevamo bene. il mio essere ragazzino mi faceva credere di essere buono. non c’era motivo di fermarsi lì a porsi domande. cercavamo luoghi circolari dove porci a triangolo. la poverezza di alcuni era sorprendente. la tipica poverezza di chi è cresciuto con troppi soldi al posto dei pensieri. c’era chi si credeva capo. noi giocavamo d’istinto lontano dai rumori che ci disturbavano. stavamo abbracciati con l’umidità attorno. ci leccavamo dove si poggiava la salsedine. poi ci guardavamo negli occhi al buio ricordando i giorni che purtroppo erano troppo vicini. e qualcuno da lontano, pieno di cultura, invidiava quanto eravamo sinceri. maledicendo sul nostro futuro.