lo spiazzo di cemento vasto ospitava i nostri discorsi. passeggiavamo entrambi fissando quella precisa distanza dai nostri piedi nel vuoto. con imbarazzo tendo il tono della voce perché di certe cose non s’era mai parlato insieme. sorrido ma non mi guardi; non ti guardo ma la mia voce consiglia quel sorriso solo, poi mi giro e i tuoi occhi allargati mi danno conferme. sono cose che ancora non conosco, ma l’intuito mi dice bene, non posso non fidarmi adesso. non ho capacità di capire cosa stai pensando, e i tentativi vanno per esaurirsi. ti sto accompagnando dove custodisco il silenzio; dove i miei segreti sono arredamento. devo distrarmi per riassaporare le mie intenzioni, intanto siediti e disegna i tuoi pensieri. mi tornano in mente tutte le fotografie che non ho fatto. il peso della mia pigrizia non mi rallenta, diventa giudizio in cooperazione con il tempo. mi guardo attorno e ce ne andiamo. domani non troverò una scusa in tempo per essere dove sei anche tu, ti guarderò con lo sguardo di chi vuol fare finta di niente, di chi deve sembrare indaffarato. camminerò di fretta e appena dopo il primo angolo non potrò più tornare indietro, a meno che non trovi stavolta una scusa adatta, ma lo sappiamo tutti che non funzionerebbe. continuo a camminare immaginandomi continuamente quella mano che mi blocca tenendomi la spalla. cos’hai da fare? niente.
mi ritrovo in quello scenario che ho sempre criticato. apparteniamo a quanto non desideriamo. il nostro concetto di libertà è fortemente corrotto.